Due significati di creazione della vita.

L’evoluzione della biologia rende necessario sdoppiare il significato di “creazione” per evitare conflitti teologici

Di Carlo A. Pelanda

Creazione della vita. Questa espressione è uno dei fronti potenzialmente più caldi del conflitto tra tecnica e morale ispirata da una religione. Se la prima pretende di poter “creare”, allora assume lo status di una “teologia della sostituzione”: antropos può fare le stesse cose che fa Dio o un dio. Con estensioni post-apocalittiche: lo può fare persino meglio, per esempio eliminando malattie e morte.

In sintesi, la biologia che esplora nuove forme viventi è esposta ad un rischio crescente di essere percepita come un teologia in conflitto con altre. Per questo in alcuni think tank si comincia ad analizzare il problema per evitare una guerra che intaccherebbe il consenso, e quindi i finanziamenti, alla biorivoluzione.

Le ricerche preliminari indicano che il rischio si addensa prevalentemente nell’area cristiana. In questa il codice religioso unisce molto Uomo e Dio, anche fisicamente, e quindi la modifica genetica del primo implica un cambiamento della descrizione del secondo. Mentre, per esempio, in quello islamico il dio è un’entità remota e, soprattutto, l’Uomo non ne è somiglianza. Il buddismo è tanto flessibile, come lo scintoismo, da non far prevedere problemi. Che, invece, nella cultura cristiana sono dati per probabili sia per quanto detto sia perché la dottrina enfatizza il costante conflitto con il demonio e la vigilanza sui suoi furbi complotti.

Per esempio, il progresso biologico potrebbe essere visto come una strategia di Lucifero:

(a) separare la componente di potenza di Dio (immortalità) da quella morale (significato, amore);

(b) rendere la prima obiettivo per la futura evoluzione di Homo, da Sapiens a Deus;

(c) come incentivo per il tradimento del Padre (il limite): ti do la totipotenza in cambio dell’abbandono del legame con il suo Significato.

Per togliersi da questi pasticci la biologia dovrebbe comunicarsi attraverso un linguaggio che minimizzi gli equivoci teologici.

E chi pensa al come sta ristudiando la soluzione di Aristotele: confine netto tra fisica e metafisica. Ma la prima porta un significato di superiorità (misurabilità) sulla seconda (mistero) che porta al conflitto. Probabilmente sarebbe più diplomatico per la biologia cedere alla religione il primato, esplicitando che si occupa solo di “creazione secondaria”: riorganizziamo la vita che già esiste, ma non la creiamo. Così la “creazione primaria” ed il suo significato resterebbe, nel linguaggio, un monopolio di Dio.

Divertente notare che con queste considerazioni si inaugura una nuova subdisciplina: “linguistica bioetica”. Quale nuovo termine potrà dare l’idea di una creazione che in realtà non è Creazione? Buon lavoro.   


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La versione originale dell'articolo sul sito di Carlo A. Pelanda (originariamente pubblicato su )

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