Biotecnologie: la fine dell'Uomo?
di Fabio Albertario

Francis Fukuyama teme che lo sviluppo tecnologico dei prossimi anni possa portare alla fine dell'Uomo, ma l'arrivo dei successori di Homo Sapiens non significa la perdita della nostra umanità.


L'articolo "Biotecnologie: la fine dell'Uomo" di Fukuyama (pubblicato sul numero di settembre/ottobre 2004 della rivista americana Foreign Policy e pubblicato sul Corriere della Sera il 10 febbraio 2005) cita tre aree-rischio che potrebbero essere destabilizzate dall'arrivo di tecnologie post-umanizzanti: diritti umani; equilibrio socio-economico;  valori umani. Esaminiamole una per volta.

Diritti umani

Il potenziale arrivo di esseri umani biotecnologicamente "migliorati"  è presentato da Fukuyama come una sicura minaccia per l'uguaglianza: "quali diritti rivendicheranno queste creature migliorate e quali diritti possiederanno in confronto a quelli lasciati indietro?" La risposta è ovvia: avranno gli stessi diritti e doveri di coloro "lasciati indietro." Nella nostra società sono i più deboli ad essere soggetti a meno doveri  (esempio banale: un non-vedente non sarà coscritto in caso di guerra), mentre i più dotati tendono ad essere, indirettamente, soggetti a più doveri, nella forma di maggiore tassazione. Fukuyama non spiega per quale motivo tale situazione dovrebbe essere fondamentalmente modificata in uno scenario in cui esseri umani biotecnologicamente incrementati fossero presenti. Egli sostiene, correttamente, che l'uguaglianza fra esseri umani va oltre le "differenze manifeste quali il colore della pelle, la bellezza e persino l'intelligenza" e quindi non è chiaro perché il miglioramento di una o più di tali caratteristiche debba risultare in esseri dotati di più, o meno, diritti. Inoltre, non offrendo una definizione di quella "essenza umana" che secondo Fukuyama oscura le differenze fra individui ed è alla base dell'uguaglianza dei diritti, egli si pone in una posizione artificialmente inattaccabile. Il problema è che non esiste un consenso sulla precisa natura di tale essenza e quindi diverse interpretazioni dovranno necessariamente coesistere. Ciò comporta il rischio che, in una situazione di intolleranza per la diversità, gli oppositori viscerali del transumanesimo potrebbero un giorno negare il valore morale di quegli individui i quali, tramite interventi bio o nanotecnologici, avranno modificato il proprio corpo e la propria mente nel modo da loro desiderato. E come ha giustamente affermato il filosofo transumanista Nick Bostrom in un recente articolo,"l'esclusione dal cerchio morale di alcuni individui soltanto perché dotati di una "essenza" diversa dalla nostra è analogo all'escludere qualcuno sulla base del sesso o del colore della pelle."

Impatto socio-economico

"Se alcuni vanno avanti [con i miglioramenti biotecnologici], potranno gli altri permettersi di non seguirli?" si chiede Fukuyama. E che dire dei paesi poveri, dove le "meraviglie della biotecnologia rimarranno probabilmente irraggiungibili, e la minaccia all'idea di uguaglianza diventa ancora più forte"? Ottime domande, sulle quali è giusto si cominci a discutere oggi, prima cioè che le tecnologie in questione siano disponibili. Viene da chiedersi, però, come sia possibile che un acuto osservatore delle vicende umane come Fukuyama possa non aver notato i vistosi paralleli fra gli scenari da lui temuti e la situazione corrente. Parafrasando: potrebbe oggi un'azienda non seguire i propri competitori nell'uso di nuove tecnologie? Molto probabilmente, no. Senza un efficiente sistema informatico, un'azienda moderna non sarebbe competitiva. Le aziende che per prime adottarono il computer nei propri uffici, ebbero un evidente vantaggio, i loro competitori se ne accorsero e li imitarono. La diffusione capillare della telefonia cellulare è un altro esempio di questo tipico percorso seguito dalle tecnologie che riscontrano un successo di pubblico e Fukuyama non spiega perché mai le tecnologie post-umanizzanti dovrebbero essere l'eccezione, o perché tale processo dovrebbe necessariamente avere un impatto negativo.

La stessa perplessità sorge di fronte alle preoccupazioni di Fukuyama per la disponibilità delle "meraviglie della biotecnologia" nei paesi meno sviluppati, come se questo non fosse un problema che ci accompagna dagli albori della Storia. Certo, le prime applicazioni saranno solo disponibili nelle società ricche e, all'interno di queste, solo agli strati sociali più abbienti, ma anche qui possiamo osservare un ben preciso percorso, lungo il quale i prezzi calano notevolmente e il cui punto di arrivo è la diffusione capillare della tecnologia in questione. Automobile, radio,  televisione, computer, telefonino, chirurgia plastica: la lista delle tecnologie che hanno seguito questa traettoria è lunga e cresce di anno in anno. La loro diffusione nei paesi meno sviluppati non è certo priva di ostacoli, come ben dimostrato dalla situazione odierna delle terapie anti-virali per il trattamento dell'HIV, ma, grazie anche all'intervento di gruppi di pressione e del loro impatto sull'opinione pubblica, la situazione, per quanto non risolta, è stata comunque migliorata. Anche in questo caso, Fukuyama non spiega per quale motivo i miglioramenti biotecnologici previsti non dovrebbero seguire una simile traettoria.

Valori umani

Fukuyama sostiene che, intervenendo anche su una sola delle nostra caratteristiche-chiave, rischiamo di mettere in moto un processo il cui risultato è imprevedibile e, si suppone, negativo. "Se non fossimo violenti e aggressivi, non saremmo in grado di difenderci; se non avessimo sentimenti di esclusività non saremmo leali a coloro che ci sono vicini; se non provassimo mai la gelosia, non proveremmo mai l'amore." Queste però sono frasi ad effetto che non reggono il confronto con la realtà: l'esistenza di individui completamente pacifici, ma in grado di difendersi se attaccati è certamente plausibile; è sicuramente possibile essere leali ai nostri amici senza essere chiusi a nuove amicie; esistono, infine, sottoculture in cui la promiscuità non impedisce una relazione di coppia basata sull'amore, nell'assenza di gelosia. Avrebbe più senso, allora, parlare di gradazioni su di una scala ai cui estremi sono amore totale e gelosia pura, o aggressività sfrenata e incapacità di difendersi. Il comportamento di ognuno di noi è il risultato dell'interazione fra tali elementi, il che rende l'approccio di Fukuyama fuorviante, in quanto presentando questi esempi di caratteristiche-chiave come mutualmente esclusive, egli implica che sia solo possibile scegliere un estremo o l'altro, ed esclude, senza giustificazione, la più realistica e meno problematica possibilità di modulare le nostre caratteristiche.

Fra le caratteristiche-chiave dell'umanità messe a rischio dalle ambizioni prometeiche dei transumanisti, Fukuyama mette anche la morte: "Persino la nostra mortalità gioca una funzione critica nel consentire alla nostra specie nel suo insieme di sopravvivere e di adattarsi." L'immortalità o, più realisticamente parlando, un'aspettativa di vita non predeterminata alla nascita, è infatti uno dei principali obiettivi transumanisti, se non addirittura il fulcro di tutto il progetto. I recenti e stupefacenti successi in modelli animali hanno finalmente incrinato la convinzione diffusa che la mortalità di una specie animale sia un'aspetto non modificabile di quell'organismo. Dai laboratori di ricerca sono usciti vermi, insetti e persino mammiferi la cui aspettativa di vita è stata significativamente estesa con interventi di vario tipo. Una delle inaspettate  conseguenze di tali progressi è stata l'improvvisa apparizione di una serie di interventi sorprendentemente pro-mortalità pubblicati da  membri dell'equivalente americano del comitato nazionale per la bioetica, fra cui spiccano quelli di Fukuyama e del presidente del comitato, Leon Kass. Di fronte all'approccio di Fukuyama, il quale sostiene che la condanna a morte inflitta ad ogni uomo, donna e bambino al momento della nascita, sia necessaria per lo sviluppo della specie, e di fronte all'attitudine di Kass, secondo il quale una vita senza morte non avrebbe né senso né valore, sorge il dubbio che la domanda/accusa di Fukuyama ai transumanisti ("Ma capiscono veramente i valori umani più importanti?") sarebbe forse meglio indirizzata ai bio-conservatori…

Fukuyama conclude il proprio attacco invocando l'adozione di un  atteggiamento di "umiltà e rispetto" nei confronti della natura umana, confermando così il proprio stoico sostegno per lo status quo (malattia, sofferenza e morte inclusi), nonché la propria, conseguente, opposizione al progresso mirato a combattere tali caratteristiche-chiave che, secondo l'autore, sono parte inalterabile della nostra umanità. In questo modo, egli involontariamente sottolinea la natura profondamente rivoluzionaria del progetto transumanista, il cui ambizioso obiettivo di lungo termine consiste esattamente nell'eliminazione di queste caratteristiche, viste invece come crudeli limiti alla nostra crescita.

Fukuyama vuole trasformare la natura umana in un oggetto sacro da esibire in un museo. I  transumanisti  vogliono  permettere alla natura umana di proseguire il suo cammino evolutivo e ne vogliono accelerare il passo con i mezzi tecnoscientifici a disposizione.


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Vedi anche:

Biotecnologie, la fine dell'Uomo, di Francis Fukuyama

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Transumanesimo: l'idea più pericolosa? di Ronald Bailey

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