La prospettiva dell'immortalità, di Robert Ettinger

2. Gli effetti del surgelamento e del raffreddamento

Se ora avete circa quarant'anni, probabilmente quando fra trenta o quaranta anni morirete, i medici o gli esperti pagati dalla vostra compagnia di assicurazione raccoglieranno il vostro sangue, perfonderanno i vostri organi e vi lasceranno giacere in riposo - non un riposo eterno, ma temporaneo, e non nella terra fredda, ma in una cella frigorifera molto piu' fredda.

Qualche anno piu' tardi, forse, vi porranno accanto anche il corpo di vostra moglie.

In un primo tempo, molti troveranno quest'idea inverosimile e ripugnante; ripugnante perche' la loro mente associa il concetto di frigorifero a quello di carne morta, inverosimile perche' sanno che tanto per cominciare una bistecca di agnello appare del tutto inerte e per di piu', in una cella frigorifera a -18 gradi centigradi, comincia a deteriorarsi dopo pochissimi anni.

Va anche ricordato che a volte ci troviamo a dover amputare il dito di un piede colpito da grave congelamento poiche' non ci e' possibile riportarlo in vita anche se tutto il resto del corpo e' vivo. Come possiamo sperare di far rivivere un individuo surgelato in tutti gli organi vitali? Come credere che la cosa diventi possibile?

L'ottimismo puro e semplice non e' convincente. Va benissimo dire che la scienza futura sapra' essere superiore a ogni immaginazione; ma sara' capace di prendere una manciata di pezzetti di carne di bue e da questi ricostituire il manzo, lo stesso manzo che era stato tagliato in tante piccole parti? Ci stiamo interessando a qualche cosa di probabile, non a qualche cosa a mala pena concepibile. Se non avessimo probabilita' piu' convincenti di quelle dell'ipotetico manzo, non varrebbe certo la pena di scomodarsi.

Ma per fornire una base razionale alla nostra fiducia, esaminiamo con cura alcuni dei fatti salienti e dei giudizi sugli effetti prodotti negli animali viventi dal raffreddamento e dal surgelamento.

Conservazione a lunga scadenza

La nostra argomentazione fondamentale poggia, l'abbiamo detto, su un dato di fatto e su una supposizione. Il fatto - e cioe' che e' possibile fin da ora conservare un corpo morto senza che si deteriori - e' facilmente dimostrabile.

E' infatti un principio ben noto della chimica che, a temperature vicine allo zero assoluto (a circa -273 gradi), la velocita' delle reazioni diventa trascurabile. I movimenti molecolari praticamente si annullano. I processi vitali di ogni organismo portato a temperature prossime a questo limite estremo dovrebbero diventare estremamente lenti e così pure quelli di deterioramento. L'osservazione sperimentale conferma questo principio teorico.

Il dottor Harold T. Meryman (del Naval Medical Research Institute del National Naval Medical Center di Bethesda nel Maryland), una grande autorita' in questo campo, afferma che "in alcune circostanze la conservazione in azoto liquido a -197 gradi puo' essere ritenuta di durata praticamente senza limiti". (Meryman, H.T. "Mechanics of Freezing in Living Cells and Tissues." Science, vol.124 1956, p. 515.)

Il dottor Humberto Fernandez-Moran dell'universita' di Chicago, eminente esperto di biofisica, nota che "...non e' stata finora descritta alcuna attivita' metabolica rilevabile alla temperatura dell'azoto liquido...". Egli tuttavia richiama l'attenzione sul fatto che a -197 gradi possano ancora aver luogo reazioni relative a frammenti molecolari dotati di un'esistenza molto breve, chiamati "radicali liberi" e che quindi, per una conservazione a lunga scadenza, sono forse preferibile le temperature dell'elio liquido, a pochi gradi cioe' dallo zero assoluto. Si calcola che la velocita' delle reazioni chimiche nel passaggio dalle temperature dell'azoto liquido a quelle dell'elio liquido, si riduca di circa 10000 miliardi di volte ! (Fernandez-Moran, H. "Rapid Freezing with Liquid Helium II"  Annals of the New York Academy of Sciences, vol. 85, 1960.)

Molti altri ricercatori hanno scritto dello stesso fenomeno. L'accordo di opinione tra gli esperti, basato su una lunga osservazione sperimentale non meno che sulla teoria, indica che un corpo raffreddato con azoto liquido puo' essere conservato senza significativi cambiamenti o deterioramenti per un periodo di tempo misurabile al minimo in anni e probabilmente in secoli. Un corpo raffreddato per mezzo dell'elio liquido si conservera', a tutti i fini pratici, per sempre.

E' chiaro quindi che le difficolta' maggiori non provengono dal problema della conservazione. Il corpo si manterra', per tutto il tempo desiderato, nelle stesse condizioni in cui si trovava al momento in cui raggiunse la temperatura ottimale di conservazione. Se il corpo era vivo, rimarra' vivo; se aveva risentito di qualche danno rimarra' con le conseguenze di quel danno.

Il rischio principale risiede nei procedimenti di surgelamento e di ritorno alla temperatura normale. Esaminiamo allora quali progressi pratici sono stati attuati nel campo del surgelamento di campioni biologici e del successivo ricupero delle loro funzioni vitali.

Risultati favorevoli ottenuti nel congelamento di animali e tessuti

Molti degli organismi inferiori, di piccole dimensioni, possono sopravvivere a un surgelamento spinto a temperature molto inferiori al loro punto di congelamento anche senza alcuna protezione speciale, mentre per gli altri il surgelamento ha successo solo se si usano alcuni accorgimenti.

Becquerel rilevo' che se alcuni animali inferiori di piccole dimensioni, capaci di sopportare la disidratazione, vengono disidratati e quindi raffreddati fino a una frazione di grado dallo zero assoluto, possono in seguito tornare a vivere normalmente dopo essere stati riscaldati e reidratati (Becquerel, P. "La suspension de la vie au-dessous de 1/20°K absolu par demagnetisation adiabatique de l'alun de fer dans le vide le plus eleve'" C.R. (Comptes Rendus) Acad. Sci., Paris, vol.231, 1950) in quanto essendo stata asportata l'acqua prima del surgelamento, non si era verificato nessuno dei danni dovuti alla formazione di cristalli di ghiaccio.

Due scienziati giapponesi, Asahina e Aoki, fecero esperimenti con larve di un certo insetto, il Cnidocampa flavescens. Le larve vennero tolte dai loro bozzoli, mantenute per un giorno a -30 gradi e quindi immerse nell'azoto liquido a -180 gradi. Riportate alla temperatura normale i loro cuori ripresero a battere e alcune di esse vissero fino allo stadio successivo di sviluppo, quello dell'"imago", ma nessuna completo' la metamorfosi fino allo stadio adulto. Si penso' che durante il tempo trascorso a -30 si fossero formati cristalli di ghiaccio all'esterno delle cellule, piuttosto che all'interno, cioe' negli spazi intercellulari.

Nell'intento di ridurre il danno da surgelamento ai tessuti animali sono stati provati molti agenti protettivi: il glicerolo (la glicerina) ha dato i migliori risultati. La prima dimostrazione venne fornita dal professor Jean Rostand in esperimenti sugli spermatozoi di rospo; gli spermatozoi conservavano la loro motilita' per alcuni giorni a temperature da -4 a -6 gradi (Rostand,J. "Glycerine et resistance du sperme aux basses temperature." C.R. Acad. Sci., Paris, vol 222, 1946 p.1524). In seguito si e' scoperto che i corpi di alcuni insetti molto resistenti al freddo contengono normalmente glicerina (Smith, A. U. Biological Effects of Freezing and supercooling, Williams & Wilkins, Baltimore, 1961).

Un altro agente protettivo usato qualche volta con risultati positivi e' il glicol etilenico, di cui fu usata una soluzione dai dottori B.J.Luyet e M.C.Hartring nel processo di congelamento delle anguille dell'aceto (anguillula aceti). Se il raffreddamento e il ritorno alla temperatura normale erano rapidi, le anguillule sopravvivevano all'immersione in aria liquida a circa -190 gradi (Smith, A. U. Biological Effects of Freezing and supercooling, Williams & Wilkins, Baltimore, 1961). Si penso' che il glicol etilenico provocasse una disidratazione e che inducesse il passaggio dell'acqua cellulare allo stato vitreo piuttosto che a quello cristallino.

I molluschi bivalvi che si trovano su alcune spiagge del Nord, esposti a temperature molto inferiori a 0 gradi, quando la marea si ritira, si congelano - diventando solidi- e si sgelano due volte al giorno per settimane di seguito senza morire. Si e' pensato che anche questi organismi possano secernere un qualche tipo di sostanza protettiva naturale e si continueranno le ricerche in proposito (Smith, A. U. Biological Effects of Freezing and supercooling, Williams & Wilkins, Baltimore, 1961).

Se ora rivolgiamo la nostra attenzione a individui di maggiori dimensioni e piu' differenziati, vediamo che si sono ottenuti molti risultati positivi con esperimenti di surgelamento e successivo ritorno alla vita di cellule, tessuti e anche organi. Di solito, ma non sempre, e' necessario l'impiego di agenti protettivi.

Lo sperma di toro e' stato trattato con glicerolo, conservato a -79 gradi (ossia alla temperatura dell'anidride carbonica solida, chiamata anche "ghiaccio secco") per periodi di tempo fino a sette anni e quindi sgelato con un'alta percentuale di sopravvivenza tra gli spermatozoi. Ma e' interessante sottolineare che anche a questa temperatura si e' verificato un lieve deterioramento; le temperature piu' basse migliorano i risultati. Va anche osservato, al contrario di quanto indicavano gli esperimenti con le anguillule dell'aceto, che un surgelamento troppo rapido puo' essere dannoso (Smith, A. U. Biological Effects of Freezing and supercooling, Williams & Wilkins, Baltimore, 1961).

Gli spermatozoi umani, senza particolari sistemi di protezione, mostrano una resistenza al freddo estremo che varia da cellula a cellula e da donatore a donatore. In un esperimento si ottenne con gli spermatozoi una percentuale di sopravvivenza si mantenne costante a -79 gradi, a -196 e a -269 (Smith, A. U. Biological Effects of Freezing and supercooling, Williams & Wilkins, Baltimore, 1961).

Un notevole esempio della vitalita' degli spermatozoi umani surgelati e' riportato in un servizio del New York Times del 6 settembre 1963. Erano nati due bambini a donne fecondate artificialmente con sperma conservato per due mesi alla temperatura dell'azoto liquido. Il dottor Jeromo K. Sherman dell'universita' dell'Arkansas, riferisce di aver conservato lo sperma a questa temperatura per tre anni e mezzo senza alcuna perdita di attivita'.

Il dottor S. W. Jacob e i suoi collaboratori riportano di aver raffreddato cellule della congiuntiva umana (la membrana cioe' che riveste la superficie interna delle palpebre) e spermatozoi a una temperatura di meno di un grado superiore allo zero assoluto; queste cellule conservarono, dopo il disgelo, una completa vitalita' (Jacob, S.W. et all "Survival of Normal Human Tissues Froze to -272.2ºC". Transplantation Bulletin, vol.5, p. 482.)

Cuori di embrioni di pollo, dopo essere stati trattati con soluzione di glicerolo, furono surgelati a - 190º C; dopo il disgelo le pulsazioni ripresero. Questo fu uno degli esperimenti che portarono il dottor D.K.C. MacDonald dell'universita' di Ottawa, un esperto in questo settore della fisica che si occupa delle basse temperature, a scrivere: "...forse arrivera' il giorno in cui, se lo vorrete, potrete decidere di ""ibernare" per circa mille anni in aria liquida e di essere poi di nuovo "risvegliati" per vedere come sia cambiato il mondo nel frattempo". (MacDonald, D.K.C. Near Zero (An Introduction to Low Temperature Physics), Anchor Books (Doubleday & Co), 1961.)

Nel caso dei mammiferi, i tentativi di surgelare, conservare, disgelare e far tornare alla vita vari campioni, non sono stati ancora del tutto coronati da successo. Ma sono stati ottenuti molti successi parziali e, quel che piu' conta, queste esperienze hanno insegnato molto. Gli esperimenti meglio riusciti sono forse quelli del dottor Audrey U. Smith, dell'Istituto nazionale di ricerca medica di Mill Hill a Londra, che lavorava con criceti dorati. Questi animali sono stati riportati alla vita con successo dopo essere stati surgelati quasi a meta'. Voglio dire che piu' della meta' dell'acqua contenuta nel cervello era stata convertita in ghiaccio e i corpi erano rigidi; malgrado tutto cio', questi mammiferi ripresero un'attivita' normale (Smith, A. U. Biological Effects of Freezing and supercooling, Williams & Wilkins, Baltimore, 1961). Questo fatto e' molto importante, poiche' sembra dimostrarci che le facolta' mentali possono sopravvivere al surgelamento e al disgelo.

Va sottolineato che il dottor Smith ottenne questi risultati con mezzi molto rudimentali; provoco' il raffreddamento e fece resuscitare gli animali semplicemente con la respirazione artificiale e con la diatermia a mezzo di microonde. Ai tessuti non venne fornita alcuna protezione locale sotto forma di speciali infusioni, sebbene sia noto che questo genere di protezione piu' essere molto importante.

Di questo gruppo fanno parte i lavori di Andjus e Lovelock, che hanno fornito notizie sui ratti tenuti in ghiaccio e poi recuperati e sopravvissuti per circa l'80-100% (Smith, A. U. Biological Effects of Freezing and supercooling, Williams & Wilkins, Baltimore, 1961). Il dottor K.R.Kenyon e collaboratori hanno raffreddato cani approssimativamente fino al punto di congelamento con arresto completo della circolazione e delle pulsazioni cardiache, ottenendo un ricupero abbastanza completo tale che questi cani sopravvissero per molte settimane dopo l'esperimento. Furono impiegate particolari soluzioni chimiche per neutralizzare l'accumulo di certi metaboliti dannosi.(Kenyon, J.R., Ludbroo, J., Downs, A.R., Tait, I.B., Brooks, D.K. e Pryczkowski, J. "Experimental Deep Hypothermia." Lancet, ii, 1959, p.41.)

Il meccanismo attraverso il quale si realizza il danno da congelamento e' ancora poco conosciuto, poiche' esiste una grande variabilita' nella resistenza sia tra i diversi tipi di cellule, sia tra le singole cellule di uno stesso tipo. Anche i vari cambiamenti di temperatura hanno i loro problemi caratteristici.

Il lavoro sperimentale orientato verso una riprova delle nuove teorie e dei nuovi agenti protettivi, delle nuove tecniche, procede validamente, ma su scala relativamente piccola. Quando il pubblico si interessera' all'ibernazione il progresso diventera' piu' rapido. Non e' sempre possibile incrementare il progresso scientifico semplicemente spendendo piu' soldi, ma in questo caso sembra che tale possibilita' esista. Molte strade evidentemente non vengono esplorate per mancanza di persone che si dedichino a cio'. Tra l'altro sembra indispensabile effettuare una ricerca massiccia e sistematica di nuovi agenti protettivi.

Tuttavia, nonostante il ritmo relativamente lento con cui procedono oggi i lavori, e' possibile essere ottimisti. Il dottor A.S. Parkes, F.R.S (Fellow of the Royal Society, cioe' membro della Royal Society), nell'introduzione del libro del dottor Smith, afferma che nel decennio successivo (1961-1971), "la conservazione [nel freddo intenso] di interi organi per il trapianto, potra' diventare possibile..." Nel 1962 il dottor Juan Negrin Jr. (Lenox Hill Hospital, New York) disse: "Noi stiamo ora lavorando allo sviluppo di un metodo per sospendere la vita attraverso il congelamento in organismi interi. Abbiamo gia' ottenuto un risultato positivo in questo senso con vari animali." (This Week Magazine, "How a 'Frozen' Austronaut May Rach the Stars," 14 gennaio 1962.)

Si avranno senz'altro nuovi successi di carattere empirico, basati su tentativi successivi, ma per avere una idea migliore delle prospettive future e delle possibilita' presenti, passiamo in rivista brevemente le idee correnti sui danni da congelamento.

Meccanismo del danno da congelamento

Esistono parecchie ragioni alle quali poter imputare il frequente insuccesso nel far sopravvivere cellule animali e tessuti dopo che sono stati raffreddati a temperature molto basse, conservati e disgelati. Prima di passare in rassegna queste possibili cause di danno da congelamento, si dovrebbe far notare che "l'insuccesso a sopravvivere" e' una espressione molto vaga e probabilmente erronea. Il principio usuale per la valutazione della sopravvivenza e' il ricupero della funzionalita' se si tratta di un intero organo, o l'accrescimento in coltura, o l'attecchimento del trapianto o dell'autoinnesto se si tratta di un pezzo di tessuto (autoinnesto significa innesto di un tessuto sullo stesso animale donatore). Un tessuto che rimane appena sotto la linea di demarcazione tra funzionalita' e non funzionalita', viene definito "morto"; analogamente un esperimento nel quale sopravvive solo una piccola percentuale di cellule puo' essere considerato fallito. Ma in realta' i quasi successi e i successi parziali costituiscono una base sufficiente per l'ottimismo, poiche' dimostrano che il danno e' relativamente modesto.

Elencheremo ora separatamente i vari tipi possibili di danno imputabili al congelamento, anche se non si escludono l'un l'altro.

1 - Puo' verificarsi un danno meccanico provocato da cristalli di ghiaccio

Quando l'acqua raggiunge il punto di congelamento i cristalli di ghiaccio formatisi possono esercitare la loro azione lesiva tagliando, frammentando o facendo scoppiare le membrane e i corpi cellulari; questa e' la lesione piu' banale che si possa avere a causa di un congelamento. Eppure, sebbene cio' possa sembrare abbastanza strano, pare che questo fenomeno sia stato osservato piuttosto raramente. Questo e' un danno che si puo'  verificare piu' facilmente nel caso di tessuti vegetali le cui cellule sono avvolte da membrane piu' rigide. Durante un congelamento lento - che implica una tipica velocita' di raffreddamento, per esempio di un grado centigrado al minuto - il ghiaccio puro si separa gradualmente dai succhi cellulari e i cristalli di ghiaccio si formano fuori della membrana, negli spazi intercellulari. Un raffreddamento piu' lento fa sì che si formino cristalli di dimensioni piu' grandi e naturalmente in numero minore; un raffreddamento piu' rapido produce il contrario. Quando si raggiunge la cosiddetta temperatura eutettica, la frazione liquida rimanente congela in una stretta mescolanza di cristalli di ghiaccio e di cristalli dei vari sali o dei loro idrati.

Ci sono pero' numerose prove che la formazione del cristallo di ghiaccio in se' non e' del tutto dannosa anche se l'acqua aumenta di volume quando congela. Meryman afferma che "...le ricerche sul deterioramento sperimentale dimostrano che l'arto di un cane e' ancora vitale dopo che i tessuti profondi sono stati tenuti a una temperatura molto al di sotto di quella del congelamento anche quindici-trenta minuti... Non c'e' dubbio che si formino i cristalli di ghiaccio, e che nonostante questo i tessuti sopravvivano... Osservando i tessuti molli di molti animali, riscontriamo spesso che si possono formare cristalli di ghiaccio negli spazi intercellulari, che questi cristalli provocano un collasso delle cellule senza tuttavia intaccarne la capacita' di sopravvivenza". (Meryman, H.T. "The Mechanisms of Freezing in Biological Systems." Recent Research in Freezing and Drying, a cura di A.S. Parkes e A.U. Smith, Blackwell Scientific Publications, Oxford, 1960.)

Nel congelamento rapido, i cristalli che si formano sono molto piu' piccoli e forse per questa ragione meno dannosi dal punto di vista meccanico, anche se il volume totale del ghiaccio e' sempre identico. Ma un congelamento rapido non permette all'acqua di uscire dalle cellule; possono così formarsi piccoli cristalli di ghiaccio intracellulari o addirittura intranucleari, che con molta probabilita' producono danni, anche se cio' non e' ancora ben provato. Per esempio potrebbe derivarne una rottura della membrana che circonda e riveste il nucleo cellulare.

2 - Puo' verificarsi una iperconcentrazione dannosa di elettroliti

Poiche' il congelamento comporta una separazione di acqua allo stato di ghiaccio dalla soluzione, esso equivale a un processo di disidratazione. Il liquido che rimane nella cellula viene così ad avere una concentrazione di sali e sostanze analoghe, ossia di elettroliti, piu' alta del normale; questi elettroliti hanno proprieta' elettriche e chimiche speciali. Questo cambiamento radicale dell'ambiente interno puo' essere fatale alla cellula (Meryman, H.T. "Physical Limitations of the Rapid Freezing Method." Proceedings of the Royal Society B, vol. 147,1957).

Si pensa che il danno prodotto alla cellula da questa causa, dipenda dal grado di concentrazione degli elettroliti, dal tempo di esposizione a questa alterata concentrazione e dalla temperature; una temperature piu' bassa comporta una reazione piu' lenta. La concentrazione degli elettroliti puo' diventare alta in modo dannoso a seconda del tipo di cellula e a seconda di altri fattori, all'incirca tra 0 e -25 gradi. Per questa ragione un raffreddamento nell'ambito di questa temperatura, in assenza di perfusioni protettive, dovrebbe essere relativamente rapido, se possibile.

Il dottor J.E. Lovelock ritiene che i lipoprotidi siano particolarmente sensibili alla denaturazione, cioe' alla perdita delle caratteristiche chimiche per questo motivo. "Un componente frequente anche se non costante delle molte membrane di una complicata cellula vivente e' il complesso lipoproteico... tenuto insieme non dai forti legami di covalenza che legano gli atomi di una proteina semplice, ma da forze di coesione deboli, simili a quelle che tengono insieme una bolla di sapone... questi complessi sono di conseguenza instabili e probabilmente sono mantenuti nelle cellule viventi da continui processi di sintesi... Il congelamento [puo' facilmente] denaturare i complessi lipoproteici piu' sensibili della cellula. L'alta sensibilita' dei complessi lipoproteici agli effetti dannosi del congelamento suggerisce che non solo la membrana cellulare, ma anche le membrane intracellulari della cellula... possano soffrire un danno irreversibile durante il congelamento. Il profondo cambiamento nell'ambiente biochimico della cellula che ha luogo durante il congelamento puo' anche danneggiare i costituenti molecolari piu' stabili della cellula." (Lovelock, J.E. "The Denaturization of Lipid-Protein Complexes as a Cause of Damage by Freezing." Proceedings of the Royal Society B, vol. 147, 1957, p. 427.)

Per evitare un atteggiamento troppo timoroso a questo proposito dovremmo notare anche che egli continua dicendo: "...molte cellule e tessuti viventi sono stati oggi conservati con successo nello stato di congelamento... nonostante questi rischi formidabili...". Noi dovremmo anche tener presente una volta di piu' che la frase "danno irreversibile" e' usata spesso con troppa disinvoltura e che in realta' significa solo "incapace di essere riportato alle condizioni di partenza con i metodi fino a oggi impiegati".

3 - Puo' verificarsi uno squilibrio metabolico

Il dottor L.R. Rey, un eminente ricercatore della Ecole Normale Superieure di Parigi, crede che l'equilibrio cellulare possa essere sbilanciato per l'azione irregolare del freddo sul delicato meccanismo dei processi vitali. "...vari enzimi non sono inibiti allo stesso modo... puo' verificarsi un accumulo anormale di metaboliti intermedi che di solito hanno una esistenza transitoria e che possono dimostrarsi tossici o orientare il metabolismo in una direzione differente." (Rey, L.-R. "Studies on the Action of Liquid Nitrogen on Cultures in Vitro of Fibroblasts." Proceedings of the Royal Society B, vol. 147, p. 460)

Questa considerazione da' adito a qualche speranza, poiche' sembra lasciare aperta la possibilita' di ripristinare l'equilibrio, una volta giunti a capirne il meccanismo e trovati i mezzi adatti.

Una considerazione analoga fu fatta dal dottor L. Kreyberg. "E' evidente che nelle aree di tessuto organizzato in situ [in luogo] i limiti della sopravvivenza di alcune delle cellule dopo il congelamento... non sono stabiliti dalla tolleranza delle singole cellule, ma dalle reazioni locali alla disorganizzazione della vita del tessuto." (Kreyberg, L. "Local Freezing." Proceedings of the Royal Society of London B, vol. 147, 1957, p. 546)

Si ha l'impressione che una tale considerazione potrebbe adattarsi alle condizioni esistenti nell'interno di una singola cellula e tra le sue diverse parti.

4 - Puo' verificarsi uno shock termico e osmotico

Il congelamento rapido e' fatale a molte cellule per ragioni non chiaramente conosciute. Una ipotesi circa lo "shock termico" e' che col diminuire della temperatura gli elementi che compongono la cellula si contraggano con velocita' differente dalle membrane cellulari determinando così tensioni meccaniche distruttive. Lo "shock osmotico" concerne l'azione nociva di cambiamenti improvvisi nella concentrazione delle sostanze disciolte a contatto con certe membrane.

5 - Possono verificarsi danni durante il periodo di conservazione

La cellula va incontro a diverse vicissitudini, quando viene congelata, in rapporto a molti fattori in ciascuno dei vari cambiamenti di temperatura e quando alla fine arriva alla temperatura di conservazione, i suoi guai possono non essere ancora finiti. Come abbiamo gia' detto, ci sono prove che a tutte le temperature tranne che alle piu' basse, vicine allo zero assoluto, possono avvenire cambiamenti apprezzabili, anche se molto lenti.

Sebbene Fernandez-Moran abbia osservato che l'attivita' dei radicali liberi puo' ancora essere possibile a -196 gradi e abbia suggerito che forse una conservazione di lunga durata debba essere alle temperature dell'elio liquido, sembra che molti autori siano d'accordo nel ritenere che la conservazione alla temperatura di ebollizione dell'azoto e' probabilmente quella che da' sicurezza. In ogni modo, la parola "degenerazione" e' probabilmente impropria per descrivere il deterioramento che puo' aver luogo alle basse temperature. Questo infatti non e' probabilmente un caso generico di decomposizione o putrefazione, o anche di metabolismo normale che procede a una velocita' ridotta, ma si tratta piuttosto di pochi delicati processi che vanno essenzialmente a compimento e ai quali segue un equilibrio che perdura per un periodo indefinito. Se questo e' vero, il raffreddamento con ghiaccio secco per lunghi periodi puo' essere all'incirca ugualmente sicuro del raffreddamento con l'elio liquido, fatta eccezione per alcuni danni minori iniziali. Su questo punto tuttavia, io non posso riportare pareri autorevoli e molte domande rimangono senza risposta.

6 - Puo' verificarsi un danno durante il disgelo

E' largamente provato che puo' avvenire un danno maggiore durante il disgelo che durante il congelamento, in particolare se il disgelo avviene lentamente e senza perfusioni protettive. I meccanismi del danno sembrano comprendere una cristallizzazione migratoria di ghiaccio (cioe' piccoli cristalli possono fondersi in cristalli piu' grandi, causando una rottura meccanica) e la formazione di bolle di gas e altro ancora. Questi effetti possono aversi a temperature di circa -40 gradi.

Per un certo tempo, la difficolta' di ottenere un disgelo rapido fu considerata estremamente seria per tutti i campioni, tranne che per i piu' piccoli, per i quali gli scambi termici non costituiscono un problema grave. Tuttavia, oggi sembra che la diatermia con microonde e i metodi di induzione permetteranno un disgelo rapido a una velocita' piu' o meno uniforme attraverso tutto il corpo, anche nei campioni di grosse dimensioni. Questi metodi comportano un uso di radioonde ad alta frequenza, di campi magnetici alternati o di campi elettrici alternati; il primo e' analogo a una comune lampada da riscaldamento, il secondo ai cosiddetti forni elettronici. L'apparecchiatura e' stata descritta da Lovelock. (Lovelock, J.E. "Diathermy Apparatus for the Rapid Rewarming of Whole Animals from 0º C and Below." Proceedings of the Royal Society B, vol. 147, 1957, p. 545)  Con l'uso di questa i conigli possono essere disgelati in pochi secondi. (Smith, A. U. Biological Effects of Freezing and supercooling, Williams & Wilkins, Baltimore, 1961).

7 - Puo' verificarsi una mescolanza di effetti deleteri

Varie prove e speculazioni sottolineano possibilita' ulteriori nella complessa questione delle lesioni da congelamento. Farmaci e antibiotici, così come i soluti organici, possono diventare concentrati fino a livelli letali. Alla temperatura del ghiaccio secco, se si usa il glicerolo, puo' verificarsi un congelamento incompleto e la bassa solubilita' dei sali nel glicerolo puo' far sì che il danno avvenga lentamente. A temperature estremamente basse la completa rimozione dell'acqua sotto forma di ghiaccio puo' comprendere le molecole di acqua necessarie per l'integrita' strutturale delle proteine.  E così si potrebbe andare avanti; molto si sa, ma molto di piu' si deve ancora scoprire sull'argomento.

Riassumendo, se noi ricerchiamo quale sia il principale pericolo cui vanno incontro i corpi umani congelati senza una perfusione con soluzioni chimiche protettive, il consenso degli esperti sembra indicare soprattutto la denaturazione delle molecole proteiche come conseguenza di una prolungata esposizione a soluzioni saline concentrate, che a loro volta sono la conseguenza di un congelamento troppo lento. Per quanto riguarda la possibilita' di evitare questo pericolo usando agenti protettivi, o aumentando la velocita' del congelamento, sara' detto di piu' in seguito.

  Il congelamento

Ora noi siamo in grado di rispondere agli scettici i quali dubitano che, non essendo oggi giorno curabile il dito di un piede congelato, sia impossibile prefrigerare e far tornare in vita un corpo umano; vale le pena di dare una risposta chiara.

Tanto per cominciare, il congelamento spesso viene curato, come e' dimostrato dalla esperienza clinica e di laboratorio. Quando analizziamo quali casi sono curati e quali no, troviamo qualche relazione con la esposizione precedente sul meccanismo delle lesioni da congelamento.

E' stato dimostrato che, sia nell'uomo sia negli altri animali, la perfigerazione puo' determinare una formazione di cristalli di ghiaccio nei tessuti senza un danno irreversibile (Smith, A. U. Biological Effects of Freezing and supercooling, Williams & Wilkins, Baltimore, 1961). La lesione compare se la temperatura e' troppo bassa, così che si separa  una quantita' eccessiva di ghiaccio, producendo una concentrazione troppo alta di soluti nei liquidi organici; compare pure se la perfrigerazione e' protratta esageratamente, dando luogo a una esposizione delle cellule a soluzioni concentrate per un tempo eccessivo, oppure se il disgelo e' troppo lento, con il risultato di una dannosa esposizione ad alta temperatura ad alcuni soluti concentrati, o anche se durante il raffreddamento vi e' stato un piegamento o uno sfregamento della parte con un danno dei tessuti anelastici, o se i vasi sanguigni non  ancora congelati ma raffreddati e non ben funzionanti non riescono a nutrire a sufficienza le parti che si trovano gia' a temperatura normale.

I testi di medicina riconoscono che il disgelo dovrebbe essere rapido e lo sfregamento (con neve o qualunque altra cosa) evitato. (Textbook of Medicine, a cura di Cecil, R. L. e Loeb, R. F., W.B Saunders Co., 1951.)

In una parola, quei casi di congelamento che per ora non si possono curare sono semplicemente quelli in cui le condizioni non sono state favorevoli. In altri casi il congelamento puo' essere curato. Difatti, la pelle umana e' stata raffreddata rapidamente fino alla temperatura del ghiaccio secco e in seguito usata per innesto con un certo successo e la pelle di coniglio e' stata conservata alla temperatura del ghiaccio secco per quattro anni senza deterioramento, dopo essere stata pretrattata con glicerolo (Smith, A. U. Biological Effects of Freezing and supercooling, Williams & Wilkins, Baltimore, 1961).

Non e' ancora chiaro come un corpo umano possa essere raffreddato rapidamente o trattato con glicerolo, ma questi problemi saranno discussi in seguito. Comunque e' un fatto che molto si sa riguardo al congelamento, che il congelamento si puo' prevenire e che spesso lo si puo' curare. Oltre questo, naturalmente, alcuni casi che ora si considerano incurabili diventeranno curabili in futuro.

L'azione degli agenti protettivi

Una breve rassegna delle sostanze che sono state trovate utili come perfusioni protettive per prevenire o ridurre le lesioni da perfrigerazione e della teoria della loro azione, mostra che la ricerca e' ben avviate e che attualmente non siamo senza risorse.

Agente protettivo ideale e' quello al quale le cellule sono prontamente permeabili, che previene tutti i tipi di danno da raffreddamento, senza essere di per se' tossico e che puo' essere facilmente asportato dopo il disgelo. Non si conosce nulla che soddisfi completamente tutti questi requisiti per tutti i tipi di tessuto. Le sostanze che sembrano essere piu' soddisfacenti per il maggior numero di usi sono il glicerolo e il dimetilsulfossido. Il glicerolo in particolare e' stato ampiamente provato. Il suo uso ha dato successi notevoli anche se non sempre completi, su una grande varieta' di organismi e tessuti, compresi i reni, le ossa, i polmoni, lo sperma, la pelle, il tessuto miocardico, ovarico e testicolare dei mammiferi e, importantissimo, il tessuto nervoso (Smith, A. U. Biological Effects of Freezing and supercooling, Williams & Wilkins, Baltimore, 1961).

In molti casi si ritiene che il glicerolo eserciti la sua azione benefica principalmente tamponando la soluzione degli elettroliti, cioe' attraverso una specie di prevenzione o riduzione dell'azione chimica delle sostanze sciolte. Questa azione puo' essere attribuita alla capacita' del glicerolo di legarsi all'acqua e di essere esso stesso un solvente per alcuni dei sali. Il glicerolo fa anche in modo che non esista nei mezzi fisiologici un punto eutettico molto netto; se non c'e' una brusca cristallizzazione le cellule possono essere salvate dallo shock osmotico (Smith, A. U. Biological Effects of Freezing and supercooling, Williams & Wilkins, Baltimore, 1961). Il glicerolo puo' esercitare la sua azione protettiva in vari modi e l'importanza relativa di questi dipende dalla natura del tessuto in esame.

Altre sostanze e specialmente vari zuccheri e alcoli, sono stati usati con diverso successo.

Sono stati descritti molti esperimenti affascinanti nei quali i tessuti erano stati portati a tollerare il glicerolo come risultato di un adattamento di altri componenti della soluzione usata per la perfusione, come il calcio e il potassio, e nei quali erano stati escogitati metodi ingegnosi per asportare il glicerolo. E' incoraggiante notare che in moltissimi casi nei quali rimangono problemi non ancora risolti, sembra che la difficolta' sia rappresentata dalla fase del disgelo e dell'eliminazione del glicerolo. Questo significa che in nostri corpi potrebbero essere congelati e conservati in una condizione ragionevolmente buona, per cui i tecnici del futuro dovrebbero soltanto perfezionare i metodi di disgelo e di eliminazione degli agenti protettivi anziche' compiere eccessivi miracoli per cercare di ovviare i danni dovuti al processo di congelamento in se' e per se'.

La persistenza della memoria dopo il congelamento

Alcuni scienziati non molto tempo fa esprimevano il timore che, se anche fosse possibile congelare un corpo, conservarlo a temperature basse e quindi riportarlo alla vita attiva, i ricordi verrebbero cancellati dal cervello e l'uomo sarebbe trasformato in una specie di grosso infante o idiota. Naturalmente, e' molto importante essere sicuri che cio' non avvenga.

Il nocciolo della questione e' sapere se la memoria e' dinamica o statica. Nelle macchine calcolatrici vi sono due modi generali di conservare le informazioni: metodi dinamici, comportanti oscillazioni che si esauriscono se l'alimentazione elettrica alla macchina e' chiusa o sospesa, e metodi statici, come l'uso di nastri magnetici, nei quali l'informazione rimane anche se la macchina non e' messa in funzione. Queste due possibilita' esistono anche per il cervello.

Non piu' tardi del 1960 il professor William Feindel, della McGill University, scriveva: "...alcuni dei numerosi prolungamenti delle cellule nervose si ripiegano con un percorso retrogrado per andare a terminare sul corpo della stessa cellula da cui provengono, in modo che questa riceva dei campioni dagli stessi messaggi da cui e' percorsa... questi circuiti nervosi di auto-re-eccitazione possono generare un impulso che circola in perpetuo, che e' la "memoria" di quella particolare cellula..." (Feindel, W. "The Brain Considered as a Machine." Memory, Learning and Language (a cura di W. Feindel), University of Toronto Press, 1960). Ma egli sottolinea anche che le memorie potrebbero essere collegate ai cambiamenti fisici, chimici o elettrici che pervengono alle centinaia di sottili terminazioni a bottone che ricoprono ciascuna cellula nervosa del cervello.

Piu' recentemente, tuttavia, il professor E. Roy John, direttore dell'University of Rochester Center for Brain Research, ha scritto: "Esistono numerose prove per pensare che la memoria sia un processo a due stadi... (1) un primo periodo di consolidazione della durata di mezz'ora - un'ora circa, nel quale una attivita' elettrica riverberatoria probabilmente mantiene una rappresentazione dell'esperienza e (2) una fase statica di lunga durata nella quale l'esperienza e' conservata come una modificazione strutturale di qualche tipo". (John, E. R. "Studies of Memory." Macromolecular Specificity and Biological Memory, a cura di F.O. Schmitt, the M.I.T. Press, 1962).

In altre parole, la memoria dei fatti molto recenti e' dinamica, e questo ci aiuta a spiegare l'amnesia retrograda che talvolta si osserva dopo certi tipi di shock o trauma. Ma la maggior parte della memoria, quella a lunga scadenza, e' statica, infatti si ritiene che i processi di questa memoria statica consistano in cambiamenti delle molecole proteiche nelle cellule cerebrali (Hyden, H. "A Molecular Basis of Neuron-Glia Interaction." Macromolecular Specificity and Biological Memory, a cura di F.O. Schmitt, the M.I.T. Press, 1962).

Sono state fatte molte prove sperimentali. Per esempio il dottor Smith riferisce: "Noi abbiamo provato, in collaborazione con esperti in psicologia degli animali, che i ratti che erano stati allenati a risolvere problemi di ricerca del cibo in labirinti, non mostravano alcuna apprezzabile perdita della memoria dopo un raffreddamento a una temperatura corporea appena al di sopra del punto di congelamento... L'attivita' della corteccia cerebrale, valutata mediante l'elettroencefalogramma, cessa alla temperatura corporea di circa +18 °C nel ratto, di modo che l'attivita' cerebrale doveva essere arrestata per una o due ore in tutti gli animali sperimentati. Dopo la rianimazione essi erano non di meno capaci di agire secondo la precedente esperienza. Questo risultato non era in accordo con la teoria che la memoria dipende da un continuo passaggio degli impulsi nervosi attraverso neuroni in attivita' metabolica nel cervello" (Smith, A. U. Biological Effects of Freezing and supercooling, Williams & Wilkins, Baltimore, 1961).

Vi sono altri due punti di grande importanza per quanto concerne la memoria: pare che ogni memoria sia conservata in molti punti separati spazialmente nel cervello, pertanto puo' essere molto resistente a una lesione anche estesa; questi punti consistono in una codificazione chimica analoga alle tracce che registrano le informazioni genetiche e immunologiche, conseguentemente possono essere robusti e resistenti al danno.

Il professor Hans-Lukas Teuber del Massachusetts Institute of Technology (M.I.T.) scrive: "Gli esperimenti che sfruttano massicce ablazioni di tessuto cerebrale (ossia rimozione di parti) o sezioni traverse multiple della corteccia cerebrale... mostrano una marcata duttilita' degli "engrammi" gia' stabiliti... La sopravvivenza delle "tracce" del passato in seguito all'ibernazione, all'anestesia generale o alle convulsioni, suggerisce che abbiamo a che fare con un meccanismo protetto contro ogni perdita, in maniera analoga a quello delle reazioni immunologiche, per mezzo cioe' di una moltiplicazione della traccia, relativamente piccola di dimensione, e una considerevole dispersione attraverso l'intera massa cerebrale... [Alcuni esperimenti possono rilevare] che i processi della traccia biologica sono essenzialmente dello stesso tipo sia che riguardino i processi genetici, l'induzione embrionale, l'apprendimento o la risposta immunologica" (Teuber, H. L. "Perspectives in the Problems of Biological Memory - A Psychologist's View." Macromolecular Specificity and Biological Memory, a cura di F.O. Schmitt, M.I.T. Press, 1962).

Vedremo l'importanza di questo punto di vista quando considereremo fino a che punto il danno da congelamento puo' essere tollerabile.

La gravita' del danno da congelamento

Va sottolineato che il danno da raffreddamento, specialmente al cervello, puo' non essere eccessivo anche se nessun mammifero, fino a oggi, ha avuto un completo ritorno alla normalita' dopo il surgelamento dell'intero corpo eseguito con i metodi piuttosto grossolani attualmente in uso.

Nel surgelare animali di grande mole si incontrano alcune difficolta'. La perfusione con agenti protettivi non e' facile e il congelamento rapido dei tessuti profondi e' stato considerato finora impossibile. Ne consegue che puo' verificarsi una denaturazione delle molecole proteiche del cervello dovuta a una eccessiva concentrazione dei sali. Queste considerazioni hanno generato un profondo scoraggiamento.

Nella prossima sezione indicheremo come in effetti il danno da congelamento si possa in massima parte evitare. In questo capitolo cercheremo di dimostrare che se anche la lesione da congelamento e' grave, come sembra di solito, rimangono motivi sufficienti per alimentare un ragionevole ottimismo.

In primo luogo puo' essere difficile ideare un metodo sempre valido per rendere reversibile la denaturazione proteica, ma questo non e' un ostacolo insormontabile. Innanzitutto un metodo ideale di questo genere potra' benissimo essere realizzato, anche se ora non riusciamo a immaginarlo, dagli ingegnosi uomini e dalle formidabili macchine del futuro. Dopo tutto nel secolo scorso gli ingegneri ritenevano che fosse impossibile volare con una macchina di peso superiore a quello dell'aria;e prima del
1926, anno in cui Summer isolo' l'ureasi, non si era ancora neppure sicuri che gli enzimi fossero di natura proteica (Asimov, I. The Chemicals of Life, New American Library, New York, 1954). Inoltre, come vedremo, la natura e l'entita' della denaturazione non sono uniformi; la denaturazione, in alcuni casi, puo' essere perfino di portata ridotta e le sue conseguenze di estensione limitata.

Bisogna insistere sul fatto che anche un surgelamento un po' rudimentale spesso non determina la morte di tutte le cellule, e che le cellule "uccise" possono essere danneggiate in varia misura: questo vale anche se noi fissiamo la nostra attenzione su un singolo tipo di tessuto. Occorre ancora considerare che proprio le parti piu' importanti delle cellule possono essere le piu' resistenti.

Il fatto che alcune cellule resistano al surgelamento anche quando molte altre "muoiono" puo' essere dimostrato dal lavoro del Rey, il quale raffreddava rapidamente il tessuto miocardico di embrione di pollo: "...non si verifica alcun accrescimento nelle colture in assenza di glicerolo, con l'eccezione di qualche cellula migrante... Solo alcune particolari cellule sopravvivono alla esposizione all'azoto liquido... Perche' la maggior parte del tessuto muore in seguito a raffreddamento rapido in azoto liquido? ...Noi pensiamo che [queste alterazioni] avvengano durante il processo di ritorno alla temperatura normale" (Rey, L.-R. "Studies on the Action of Liquid Nitrogen on Cultures in Vitro of Fibroblasts." Proceedings of the Royal Society B, vol. 147, 1957, p. 460).

Anche se i polli non sono esseri umani e se i cuori non sono cervelli, e' importante il fatto che alcune cellule sopravvivano , perche' ci consente di concludere, rimanendo nella logica, che probabilmente molte altre cellule riescono quasi a sopravvivere. Esse potrebbero essere salvate dagli scienziati futuri sia prima che dopo il disgelo, ottenuto con tecniche piu' perfezionate. Per analogia, immaginiamo di osservare dall'alto un bombardamento su una colonna di soldati. Se dopo il bombardamento nessuno si alza in piedi, forse tutti i soldati sono morti. Ma se anche uno o due si rialzano, e' molto probabile che molti altri siano rimasti soltanto feriti e non uccisi. Kreyberg dice: "E' evidente che  durante una lunga esposizione al freddo, molte cellule, talvolta la maggior parte, muoiono. A volte sopravvivono singole cellule o piccoli gruppi di cellule che sono in grado di ripopolare le colture e anche di formare dei trapianti piuttosto complessi, come e' dimostrato dagli esperimenti con tessuto ovarico." (Kreyberg, L. "Local Freezing." Proceedings of the Royal Society of London B, vol. 147, 1957, p.546)

Ricerche in certo qual modo simili sono state fatte con il tessuto nervoso dei mammiferi, il che e' del massimo interesse. Pascoe, lavorando con gangli di ratto, osservo' che sebbene un esperimento fosse in gran parte negativo, "in un preparato [non trattato con glicerolo], che era stato conservato per una notte a -15 °C, fu possibile registrare un piccolo potenziale d'azione in una fibra nervosa post-gangliare direttamente stimolata, dopo il ritorno alla temperatura normale." (Pascoe, J. E. "The Survival of the Rat's Superior Cervical Ganglion After Cooling to -76 °C." Proceedings of the Royal Society B, vol. 147, 1957, p.510.)

Non sono solo gli esperimenti a indicare che alcune cellule sopravvivono a sfavorevoli metodi di surgelamento; anche la teoria lo afferma. Il surgelamento cogliera' le varie cellule in situazioni ambientali molto differenti fra loro e in fasi diverse del loro ciclo metabolico. Alcune di queste cellule quasi certamente avranno fortuna. Il lavoro del dottor H. L. Rosomoff del Nuerological Institute di New York, sembra fornire una ulteriore prova che il danno da surgelamento al cervello puo' essere modesto, anche in assenza di perfusioni protettive. Egli produsse lesioni nel cervello di cani mettendo per 8 minuti a contatto della dura madre (una delle tre meningi) un tubo di ottone contenente azoto liquido. Se i cani venivano in seguito tenuti a temperatura normale, morivano invariabilmente e l'esame microscopico metteva in evidenza "una distruzione diffusa degli elementi cellulari, specialmente dei neuroni, con una completa scomparsa della struttura citoarchitettonica...". Ora, su sette cani mantenuti (dopo aver prodotto le lesioni) a una temperatura corporea di 25 °C o meno per diciotto ore, e quindi nuovamente riscaldati, due sopravvissero e gli altri vissero cinque volte piu' a lungo di quelli che non erano stati tenuti a bassa temperatura. Inoltre l'esame delle lesioni dimostrava che "l'architettura corticale era meglio conservata, le cellule presentavano segni meno evidenti di lesioni, quantunque venissero trovate alterazioni di tipo chiaramente degenerativo, forse reversibili." (Rosomoff, H. L. In Journal of Neurosurgery, vol. 16, 1959, p. 177)

Questo esperimento non aveva lo scopo di studiare il danno da surgelamento in se', ma tendeva piuttosto ad analizzare l'azione favorevole della ipotermia (cioe' di una temperatura ridotta) nella terapia di qualunque tipo di lesione cerebrale. Nondimeno, il danno cellulare nella regione lesa era presumibilmente prodotto dal surgelamento. Questo fatto sembra indicare chiaramente che il danno piu' grave che consegue a un simile surgelamento, puo' essere il risultato di modificazioni anatomiche e fisiologiche che avvengono durante e dopo il ritorno alla temperature normale e che le cellule si mantengono invece in condizioni relativamente buone durante il periodo del surgelamento. Come gia' abbiamo sottolineato tutto cio' e' molto importante: il nostro compito deve essere infatti solo quello di conservare i corpi con il minimo danno possibile. Se necessario, noi possiamo lasciare al futuro il problema di un trattamento piu' adeguato durante e dopo il riscaldamento.

D'altra parte nel caso del tessuto nervoso pretrattato con glicerolo, e' dimostrato che la maggiore difficolta' puo' risiedere non nel congelamento e nella conservazione ma nella rimozione del glicerolo. Il dottor Smith, discutendo il lavoro di Pascoe, che analizzo' il tessuto nervoso di ratto dopo aver perfuso ratti interi con soluzione di glicerolo, dice che "…il danno arrecato al tessuto nervoso potrebbe non essere un fattore limitante nei tentativi di resuscitare un intero animale dopo averlo perfuso con glicerolo e riscaldato a partire da una temperatura molto bassa." (Smith, A.U. Biological Effects of Freezing and Supercooling, Williams & Wilkins, Baltimore, 1961)

Possiamo dire a questo punto di aver compiuto ogni sforzo per dimostrare che anche dei metodi rudimentali di surgelamento possono non uccidere tutte le cellule e che anche molte delle cellule "non sopravviventi" possono riportare in realta' solo qualche lieve danno.

Siamo quindi pronti ora a precisare le nostre conclusioni. Il lettore potra' venirci in aiuto accettando per il momento due affermazioni delle quali forniremo le basi nei capitoli seguenti:

1) Si comincia a esercitare un certo controllo - controllo che si andra' via via perfezionando - sui processi di accrescimento, di sviluppo e di differenziazione o di specializzazione delle cellule sia germinali sia somatiche. Diventera' presto possibile far crescere in colture delle "parti di ricambio" grandi e piccole, o, alternativamente, mettere il corpo nella condizione di ripararsi da se', mediante un processo di rigenerazione delle parti mancanti. (Nel caso del cervello non vi potra' essere una sostituzione o una rigenerazione completa, poiche' questo equivarrebbe allo sviluppo di un nuovo individuo.)

2) La ricchezza delle risorse a nostra disposizione aumenteranno nel futuro con una rapidita' sempre crescente, sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo. In particolare saranno disponibili macchine favolose, in grado di compiere sforzi titanici, ma anche dotate di "pensiero" ai piu' alti livelli e in grado di eseguire manipolazioni a livello microscopico.

Ora, teniamo presente che i ricordi sono immagazzinati probabilmente come modificazioni nelle molecole proteiche delle cellule cerebrali; ciascuna traccia ha localizzazioni multiple in molte zone del cervello. (Poiche' si ritiene che le registrazioni che costituiscono la memoria siano chimicamente simili a quelle del codice genetico, ed e' stato dimostrato che queste ultime resistono alla temperatura dell'elio liquido, puo' darsi che i ricordi siano ugualmente resistenti. Per ora tuttavia non possiamo farci affidamento.) Alti elementi della personalita' possono essere rappresentati in un modo analogo, o possono invece sostanziarsi in catene di circuiti nervosi su scala piu' larga, rese possibili dalle connessioni tra le fibre delle diverse cellule nervose.

Sembra esista una buona probabilita' che i circuiti sopra-molecolari possano essere "interpretati" abbastanza bene dopo il surgelamento. Potra' darsi quindi che sia necessario che solo una piccola percentuale delle cellule cerebrali sopravviva con un lieve danno; cio' potra' essere sufficiente a permettere una ricostruzione abbastanza fedele del cervello per mezzo di tessuti recentemente rigenerati.

I robot chirurgici del futuro avranno poteri che ora possiamo appena intravedere; tuttavia e' gia' stata iniziata una vera e propria chirurgia cellulare. Sono state operate con successo singole cellule, eseguendo, per esempio, trapianti di nuclei in amebe precedentemente enucleate, anche di specie diversa. (Elsdale, T.R. "Cell Surgery." Penguin Science Survey B 1963, a cura di S.A. Barnett e Anne McLaren.) Quindi, se anche l'unica soluzione al problema della rigenerazione venisse dalla micromanipolazione delle cellule, non e' inconcepibile immaginare che enormi macchine-chirurgo, lavorando ventiquattrore su ventiquattro per decenni o anche per secoli, potranno delicatamente riparare i cervelli surgelati, cellula per cellula, o anche molecola per molecola nelle aree piu' delicate.

Ci affrettiamo ad aggiungere che con ogni probabilita' i metodi usati saranno molto piu' eleganti e non ancora prevedibili. Il grande chimico Linus Pauling, parlando non molto tempo fa in senso generale, diceva che "le grandi scoperte del futuro, quelle che renderanno il mondo di domani diverso da quello attuale, sono le scoperte a cui nessuno ha ancora pensato… Io so… che… saranno fatte scoperte tali che la mia fantasia ora non riesce nemmeno a immaginare; le attendo pieno di curiosita' e di entusiasmo." (Pauling, L. "Chemical Achievement and Hope for the Future." Annual Report of the Smithsonian Institute, 1950, p.225)

Dobbiamo anche tenere ben presente che solo coloro che saranno surgelati nell'immediato futuro potranno andare incontro a un danno grave; ben presto sara' accelerato il ritmo della ricerca e tra non molti anni saranno disponibili tecniche sicure che eviteranno ogni lesione. In realta' pero' bisogna sottolineare che un uomo puo', con ogni probabilita', essere surgelato anche adesso riportando solo lesioni relativamente non gravi, come vedremo nella prossima sezione.

Surgelamento rapido e possibilita' di perfusione

Un surgelamento a grande velocita' con un raffreddamento di molti gradi al minuto, e' veramente impossibile per un animale delle dimensioni dell'uomo? E quali possibilita' vi sono di dare a un organismo completo di grandi dimensioni la difesa di una perfusione in assenza di un agente protettivo come il glicerolo? Sembra che in assenza di un agente protettivo, il cervello (e il corpo) debbano essere surgelati rapidamente. Questo non evitera' ogni danno, ma potra' ridurre il rischio maggiore, quello della denaturazione proteica. Pero', come si puo' eseguire un surgelamento rapido?

Una pura e semplice immersione della testa o del corpo o anche del cervello a nudo in un bagno freddo, come per esempio in azoto liquido,  agira' soltanto sugli strati piu' esterni. E mentre esistono metodi di trasmissione del calore diversi dalla semplice conduzione, questi non sembrano fino a oggi applicabili al raffreddamento del corpo. I soli mezzi che sembrano oggi attuabili richiedono che una maggiore superficie del cervello venga a contatto col refrigerante.

Il metodo piu' ovvio sarebbe quello di far circolare liquidi freddi attraverso i vasi sanguigni del cervello. Questo e' stato fatto effettivamente nella chirurgia cardiaca, ma a temperature superiori a quelle necessarie per il surgelamento. Se sia possibile fare qualcosa a una temperatura inferiore allo zero, rimane, per quanto ne sappia, una questione aperta che richiede un approfondimento. Sarebbe certo difficile, con dei vasi sanguigni che tendono a diventare fragili, a intasarsi e a restringersi, ma non e' ovviamente impossibile.

Vengono in mente anche alcuni provvedimenti drastici. Per esempio, il cervello potrebbe essere sezionato in segmenti piu' piccoli, che potrebbero essere raffreddati piu' rapidamente. Oppure si potrebbero inserire nel cervello, come in un puntaspilli, degli aghi cavi contenenti del refrigerante; naturalmente bisognerebbe aver cura di penetrare in regioni differenti dei due emisferi, per evitare di distruggere tessuti omologhi in entrambi gli emisferi. Oppure, dopo il raffreddamento, il cervello potrebbe anche venire affettato per ottenere un congelamento piu' rapido, secondo la teoria che questo danno meccanico (sebbene enorme secondo i criteri attuali) potrebbe anche essere piu' piccolo e piu' facilmente riparabile del danno apportato da un surgelamento piu' lento. Ma il metodo d'elezione a tutt'oggi sembrerebbe essere un surgelamento moderatamente lento dopo avere effettuato una perfusione con una soluzione di glicerolo.

Evidentemente sono stati compiuti pochi tentativi di perfusione totale del corpo. Il dottor Smith dice: "Fino a oggi non e' stata elaborata nessuna tecnica per perfondere singoli organi o l'intero corpo di un mammifero con glicerolo e per poi asportarlo  senza produrre danno. Se cio' potesse essere fatto, sarebbe allora possibile raffreddare il mammifero intatto fino a temperature di -70°C e poi resuscitarlo. Si potrebbe quindi prendere in considerazione il problema di conservare mammiferi surgelati per lungo tempo. Ma bisogna sottolineare che non si vede alcuna possibilita' di realizzare questo proposito in un immediato futuro." (Smith, A.U. Biological Effects of Freezing and Supercooling, Williams & Wilkins, Baltimore, 1961)

Cio' che conta, tuttavia, e' che non abbiamo alcuna necessita' di risolvere in un prossimo futuro questo problema!

Interi ratti sono stati perfusi, come abbiamo precedentemente detto, e probabilmente lo stesso procedimento si potrebbe anche applicare agli uomini. Il problema di asportare il glicerolo senza causare danno, puo' essere rimandato a un futuro piu' lontano, insieme con quello riguardante il ripristino delle parti non raggiunte o non completamente protette dal glicerolo.

Non e' possibile e neppure necessario che chi muore ora debba aspettare che il problema venga risolto al cento per cento.

Ritardo limite per effettuare il trattamento

Se un vostro congiunto sta per morire potete con tutta probabilita' offrirgli una ottima chance, procurandogli un'assistenza medica specializzata programmata in anticipo in modo che il corpo venga preparato, perfuso e surgelato. Se questo tipo di assistenza non e' effettuabnile e nonostante cio' volete dare al congiunto qualche possibilita', sara' necessario prendere provvedimenti piu' azzardati. In ogni caso, e' importante sapere a che distanza di tempo dopo la morte si deve iniziare il trattamento: prenderemo ora in considerazione proprio questo problema.

Molti profani e anche molti medici, ritengono che il corpo debba essere surgelato entro pochi minuti dalla morte clinica, perche' possa avere la probabilita' di rivivere.

Questo e' un errore.

E' verissimo che cessando l'apporto di ossigeno per 3-8 minuti, il cervello di solito sembra riportarne un danno. Ma questa affermazione, apparentemente semplice, e' molto ingannevole: le espressioni "di solito" e "danno" richiedono entrambe un chiarimento.

Se la morte arriva inaspettatamente o senza una preparazione, il cervello puo' certamente andare incontro a un danno "irreversibile". Quando la circolazione sanguigna si arresta, cessa l'apporto di ossigeno e di destrosio e le scorie metaboliche non sono piu' rimosse. Le cause immediate di danno, secondo Wolfe, consistono in un aumento dei liquidi inter e/o intra-cellulari, una perdita di tono dei capillari, un aumento della permeabilita' dei tessuti perivasali, una turba nell'equilibrio dei liquidi e una concentrazione abnorme di acido lattico. (Wolfe, D.B. "Effects of Hypothermia on Cerebral Damage Resulting from Cardiac Arrest." American Journal of Cardiology, vol. 6, 1960, p. 809)

Non si sa ancora con certezza con che rapidita' si instauri il danno. Una interruzione totale della cricolazione e' considerata pericolosa dopo tre minuti e quello che piu' comunemente si considera il limite di tolleranza del cervello alla mancanza di ossigeno e' forse di cinque minuti circa. Ma, esperimenti condotti su cani da Brockman e Jude mostrano che, togliendo l'ossigeno per dieci minuti, non si hanno effetti dannosi e che invece la mancaza di ossigeno protratta per quattordici minuti alla tempratura corporea normale e' fatale. Questi autori ritengono che i valori minori derivino dall'uso di metodi che lasciano la circolazione depressa dopo il periodo di anossia,  producendo ulteriori danni e facendo sì che gli esperimenti vengano male interpretati. (Brockman, S.K. e Jude, J.R. "The Tolerance of the Dog Brain to the Total Arrest of Circulation." John Hopkins Hospital Bulletin, vol. 106, 1960, p. 47)

Naturalmente la temperatura e l'oscillazione individuale, come pure altri fattori, hanno una parte importante. In un capitolo successivo racconteremo la storia di un ragazzo che ebbe un ritorno quasi completo alla normalita' dopo essere rimasto per ventidue minuti sott'acqua e dopo una morte clinica durata due ore e mezza.

Sebbene le cellule cerebrali "muoiano" in realta' piu' rapidamente che le cellule di altro tipo, noi non dobbiamo tuttavia arrivare ad una affrettata conclusione pessimistica. Come gia' abbiamo detto, potrebbe darsi che le parti e le funzioni piu' importanti di queste cellule non siano così delicate come la cellula nel suo insieme.

Con una rudimentale analogia - che naturalmente non dovra' essere troppo forzata - consideriamo una bicicletta e una grossa palla di neve che scendono lungo un pendio. La bicicletta e' molto piu' complessa, e puo' essere arrestata semplicemente infilando un bastone tra i raggi delle ruote, mentre occorre uno sforzo molto maggiore per fermare la palla di neve, che nel frattempo e' diventata una valanga. Nello stesso tempo tuttavia, la bicicletta e' nel suo complesso molto piu' robusta della valanga e, quando si rimuove il bastone, sara' pronta a riprendere la sua corsa. Puo' dirsi quindi che non si debba perdere la speranza fin tanto che qualche cellula corporea e' ancora in vita. Se la pelle, per esempio, e' ancora viva, esiste qualche probabilita' che le cellule del cervello siano anche vive, quantunque danneggiate. La rimozione dell'eccesso di acido lattico, la stabilizzazione dell'equilibrio dei liquidi etc. effettuabili per mezzo di tecniche a disposizione della scienza futura, possono lasciare le cellule in buono stato come se fossero nuove.

Il periodo di tempo necessario perche' tutte le cellule del corpo muoiano, si misura almeno in ore e forse in giorni. Secondo Lillehei e altri, lo stomaco rimane vivo e in buono stato al di fuori del corpo, anche senza raffreddamento, per almeno due ore. (Lillehei, R.C., Longerbeam, J.K. e Scott, W.R. "Whole Organ Grafts of the Stomach." JAMA, vol. 183, n. 10, 9 marzo 1963, p. 861)

Gresham, a proposito di un lavoro non pubblicato di V.P.Perry, dice: "I tessuti asportati dai cadaveri fino a quarantotto ore dalla morte, hanno mostrato nella maggior parte dei casi la capacita'di un accrescimento cellulare una volta messi in coltura. Sebbene cio' non elimini la possibilita' di una alterazione cellulare, tuttavia indica che molti tessuti possono rimanere funzionanti per periodi di tempo relativamente lunghi dopo la morte e che i tessuti prelevati dopo la morte possono essere usati in modo soddisfacente per innesti vitali". (Gresham R.B., Perry, V.P. e Wheeler, T.E. "U.S. Navy Tissue Bank." JAMA, vol. 183, n. 1, 5 gennaio 1963, p.13)

Condensando tutto quanto abbiamo detto in una regola basata sull'esperienza, si puo' forse concludere che nel caso in cui si debba contare solo sulle proprie forze, volendo offrire al defunto una probabilita' anche relativamente esigua, bisogna surgelare il corpo, se e' possibile, nel giorno stesso della morte. Se il cadavere e' stato tenuto a una temperatura bassa, forse esistono probabilita' di successo anche dopo due giorni. Sembra del tutto possibile che il danno dovuto al ritardo non sia maggiore di quello imputabile ai metodi rudimentali di surgelamento che si puo' essere costretti a usare. Nel caso di ricovero in ospedale, con la collaborazione medica, la faccenda e' differente e da' adito a una speranza molto piu' legittima, tuttavia sono necessarie ulteriori considerazioni.

Ritardo limite per il raffreddamento e il surgelamento

Si possono distinguere tre fasi separate nel trattamento del cadavere: misure da prendersi prima del raffreddamento, raffreddamento fino alla temperatura di congelamento e ulteriore raffreddamento fino alla temperatura che dovra' essere mantenuta per la conservazione.

Per varie ragioni, la morte puo' intervenire prima che l'attrezzatura per il raffreddamento sia pronta. Cercando mezzi per prevenire il deterioramento si scoprono possibilita' interessanti, di cui alcune sono condizionate dall'avere a portata di mano una attrezzatura e del personale specializzato, altre misure sono invece alla portata di tutti.

Quando si deve eseguire un trapianto, che non puo' essere realizzato immediatamente, si applicano gia' vari metodi per mantenere i corpi morti da poco in buone condizioni, al fine di conservare gli organi in buono stato. Macchine cuore-polmone sono state usate per mantenere al corpo un apporto di sangue ossigenato per periodi fino a diciotto ore dopo la morte. Dopo periodo di tempo e' stato prelevato da cadaveri il fegato e usato per innesto ("Detroit Free Press", 31 ottobre 1963).

Una risorsa semplice, in caso di emergenza, e' l'uso della respirazione artificiale e del massaggio cardiaco esterno. Allo stesso tempo il corpo dovrebbe essere raffreddato con impacchi ghiacciati o con l'esposizione ad aria fredda. Chiunque puo' imparare le tecniche: si trovano in commercio tubi che permettono una respirazione artificiale bocca a bocca evitando il contatto diretto. L'efficacia di questi metodi dipende in gran parte dalla causa della morte e dalla condizione del cadavere, ma in alcuni casi queste semplici misure potrebbero mantenere un corpo in una condizione sufficentemente buona per ore. In altri casi invece sarebbero necessari altri provvedimenti, come ad esempio iniezioni di anticoagulanti.

In alcuni tipi di lesione del torace, un valido aiuto potrebbe derivare da una tecnica realizzata da Neely e collaboratori i quali perfusero dei cani con una soluzione tamponata di glucosio invece che con sangue e trovarono che "…gli animali potevano sopravvivere dopo trenta minuti di perfusione con liquido privo di sangue senza ossigeno e che i cani che sopravvivevano, non mostravano grossolane lesioni cerebrali." (Neely, W.A., Turner, M.D., e Haining, J.L. "Asanguineous Total Body Perfusion." JAMA, vol. 184, n.9, 1 giugno 1963, p.718)

Un'altra possibilita' molto interessante, disponendo di una attrezzatura adatta, ci viene suggerita dal lavoro del dottor L. Boerema dell'universita' di Amsterdam. Egli aveva ottenuto alcuni risultati notevoli trattando i paziendi all'interno di un cassone a pressione. I chirughi e il personale di servizio respiravano aria alla pressione di tre atmosfere, mentre il paziente respirava ossigeno puro alla stessa pressione. Si e' riscontrato che in queste condizioni si puo' provocare un arresto della circolazione sanguigna, senza danno, per un tempo doppio rispetto al normale. A una temperatura di 14,5°C i cani possono essere mantenuti per mezz'ora o anche piu' senza circolazione extracorporea. Gli animali possono realmente vivere senza sangue; nei maiali l'emoglobina puo' essere ridotta virtualmente a zero per almeno quindici minuti, dal momento che l'ossigeno disciolto prende il posto dell'ossigeno veicolato dai globuli rossi. "…quando un animale o un paziente respira ossigeno puro a tre atmosfere, si verifica un aumento notevole nella quantita' di ossigeno fisicamente disciolto in tutti i tessuti del corpo, liquidi e non… [Si verifica] una saturazione estrema del corpo intero con ossigeno fisicamente sciolto, in modo che le cellule hanno una riserva molto piu' alta di ossigeno di quanto non abbiano normalmente… Noi possiamo quindi presumere che l'aumentata quantita' di ossigeno in soluzione costituisca una vera riserva per i tessuti e, di conseguenza, che le cellule dei tessuti possano resistere a un arresto circolatorio per una durata maggiore." (Boerema, J. "An Operating Room with High Atmospheric Pressure." Surgery, vol. 49, n.3, marzo 1961, p.291)

Se un paziente giunto agli estremi potesse essere mantenuto in una camera simile, ci sarebbe un margine di sicurezza piu' ampio al momento della sua morte. Oppure se un paziente appena morto fosse messo in una camera di quel genere, la respirazione artificiale e il massaggio cardiaco potrebbero agire con piu' efficacia.

Con una preparazione, attrezzatura e personale pienamente adeguati, la fase del raffreddamento sembra presentare in molti casi pochi problemi. Le macchine cuore-polmone e gli scambiatori di calore sono disponibili in molti ospedali. La tecnica della derivazione cardiopolmonare e' usata comunemente nella chirurgia cardiaca e comporta un raffreddamento del sangue e del corpo dalla temperatura normale di circa 38°C fino a 20°C e talvolta anche al di sotto; questa tecnica e' stata descritta per esempio da Sealy e collaboratori. (Sealy, W.C. e Brown, Young, Smith e Lesage  "Hypothermia and Extracorporeal Circulation for Open Heart Surgery." Annals of Surgery, vol. 150, 1959, p.627) Evidentemente, potrebbe anche essere usata a seconda della causa della morte e della possibilita' di eseguire la preparazione, per raffreddare cadaveri freschi rapidamente, senza rischi e senza danno per il cervello.

Infine, ci chiediamo quanto a lungo sia possibile mantenere un corpo, dopo che e' stato raffreddato e prima che venga surgelato.

Se e' stata usata una macchina cuore-polmoni e se continua a essere usata, questo tempo puo' essere piu' o meno indefinito. Se il cervello ha raggiunto una temperatura vicino ai 10°C senza danno, per esempio mediante l'uso di una macchina cuore-polmoni che in seguito deve essere disinserita, puo' sopravvivere fino a un'ora senza circolazione sanguigna, anche se il danno puo' essere relativamente minore, perfondendo l'arteria carotide con destrano a basso peso molecolare; gli esperimenti di Edmunds e collaboratori su cani viventi sono basati su questa tecnica. (Edmunds, Folkman, Snodgrass and Brown. "Prevention of Brain Damage During Profound Hypothermia and Circulatrory Arrest." Annals of Surgery, vol. 157, n.4, aprile 1963)

Analogamente, gli esperimenti di Egerton e collaboratori con pazienti sottoposti a interventi chirurgici sul cuore in ipotermia, mostravano che le temperature al di sotto dei 12°C protratte per piu' di quarantacinque minuti producevano qualche danno al cervello, sebbene la maggior parte dei pazienti ritornasse completamente alla norma entro quattro mesi. (Egerton, N. Egerton, W.S. and Kay, J.H. "Neurologic Changes Following Profound Hypothermia". Annals of Surgery, vol. 157, n.3, marzo 1963.)

Ancora altre esperienze, dimostrano che si produce qualche danno al cervello anche se il sangue continua a circolare quando la temperatura raggiunge un punto vicino a 0°C, cioe' il punto di congelamento dell'acqua. Da questo deriva che probabilmente il corpo non dovrebbe essere raffreddato al di sotto dei 10°C, prima che sia pronta l'attrezzatura per il surgelamento, dato che questo puo' essere fatto al piu' tardi entro circa un'ora, cosa che in un ospedale dovrebbe essere possibile.

La temperatura ideale per una conservazione ottimale e della massima durata possibile

Sembra ci siano quattro principali possibilita' per la scelta della temperatura di conservazione e noi dobbiamo prendere in considerazione vantaggi e svantaggi, teorici e pratici, di ciascuna di esse. Esse sono le basse temperature che la natura stessa provvede nelle regioni artiche e antartiche e le temperature, rispettivamente, dell'anidride carbonica solida, dell'azoto liquido e dell'elio liquido.

Il dottor Audrey U. Smith, a mo' di introduzione generale afferma: "Il principio basilare per la conservazione di cellule viventi e' quello di arrestare i processi di invecchiamento e di degenerazione. Quando le cellule viventi sono raffreddate, si produce un rallentamento dei processi biochinici della respirazione, del metabolismo e di tutte le altre interazioni tra il citoplasma delle cellule e l'ambiente circostante. Se si raffreddano a temperature al di sotto dei -79°C, ambito nel quale l'anidride carbonica e altri gas si trovano allo stato solido o liquido, tutte le reazioni chimiche devono essere rallentate a una minima frazione della loro velocita' normale o debbono essere completamente arrestate. L'invecchiamento non dovrebbe aver luogo e dovrebbe così essere possibile la conservazione, a questa temperatura, per periodi infinitamente lunghi." (Smith, A.U. Biological Effects of Freezing and Supercooling, Williams & Wilkins, Baltimore, 1961)

Naturalmente, "infinitamente lunghi" e' una lieve esagerazione; sappiamo infatti che alcuni tipi di cellule, conservate alla temperatura del ghiaccio secco (-79°C), mostrano un rallentamento delle reazioni mentre la percentuale delle cellule viventi (cioe' che si possono far tornare in vita) diminuisce di settimana in settimana o anche di giorno in giorno, anche se altri tipi di cellule non hanno mostrato alcun deterioramento apprezzabile dopo parecchi anni. Per esempio, Meryman dice: "Nel caso del sangue surgelato senza glicerolo si osserva un deterioramento significativo misurabile in giorni di conservazione a -70°C, in settimane a -80°C, in mesi a -90°C, e in anni a -100°C." (Meryman, H.T. "The Mechanisms of Freezing in Biological Systems." Recent Research in Freezing and Drying, a cura di A.S. Parkes e A.U. Smith, Blackwell Scientific Publications, Oxford, 1960.)

Questo non significa necessariamente che le temperature relativamente alte siano assolutamente deleterie. Possono verificarsi alcune reazioni, ma si puo' dire ancora poco sulla loro entita' e sulla loro reversibilita'. Puo' essere che le reazioni, anche se sono considerate "fatali" in base alle prove attuali, siano in realta' di minore entita', limitate e infine reversibili. Non si tratta di una putrefazione massiva che va avanti inesorabilmente anche se lentamente, si tratta piuttosto di alcune forme di attivita' che non sono completamente inibite, l'arresto delle quali puo' essere raggiunto attraverso minime modifiche che saranno realizzate nel futuro e che viste a posteriori appariranno di entita' trascurabile. Di conseguenza non possiamo tralasciare il suggerimento, che qualche volta abbiamo udito, di conservare i cadaveri al freddo naturale nelle regioni artiche al di sotto di 0°C. E' una possibilita' che offre l'ovvio vantaggio di non richiedere un investimento di capitali e una manutenzione costosa e di presentare un minor pericolo di danneggiamento in caso di guerra. Tuttavia, la temperatura naturale piu' bassa e' molto al di sopra di quella del ghiaccio secco; essa e' probabilmente troppo alta e sembra che questa differenza abbia un peso notevole.

Per una conservazione di durata estremamente lunga, quasi tutti, ma non tutti, sono d'accordo che la temperatura piu' sicura e' quella dell'elio liquido, intorno ai -270°C.

Uno dei dissenzienti e' il dottor R.B.Gresham che dice: "E' stato dimostrato che dopo che alcuni materiali sono stati surgelati, si verifica una attivita' termodinamica continua fino a -196°C (cioe' alla temperatura dell'azoto liquido). A questo punto ogni movimento molecolare cessa, per essere nuovamente osservabile a -269°C (cioe' alla temperatura dell'elio liquido)… Sebbene non siano conosciuti gli effetti di questa attivita' termodinamica sulla conservazione protratta delle cellule, quando il tempo di conservazione deve essere misurato in anni, e' preferibile in base a questi presupposti teorici, mantenere una temperatura di -196°C." (Gresham, R.B., Perry, V.P. e Wheeler, T.E. "U.S. Navy Tissu Bank." JAMA, vol 183, n. 1, 5 gennaio 1963, p. 13)

Questo argomento non sembra in realta' decisivo. L'attivita' termodinamica e il "movimento" si riferiscono semplicemente ad alcune irregolarita' nella velocita' di dispersione del calore, mano a mano che la temperatura si abbassa e a spostamenti paralleli nella struttura molecolare o nello stato fisico dei materiali, soprattutto dell'acqua. Per quanto ne so, non esiste, in genere, nessuna ragione particolare per pensare che cio' implichi una qualche instabilita' a una temperatura fissa; la maggior parte di coloro che hanno scritto sull'argomento non sembra preoccuparsene.

Una obiezione piu' valida all'uso delle temperature piu' basse, e' questa: mentre non succede nulla dopo che e' stata raggiunta la temperatura di conservazione, possono avvenire combiamenti mentre la si raggiunge. In altre parole, non dovremmo mai usare una temperatura piu' bassa del necessario per non metterci senza motivo in una situazione intricata. A ogni livello di temperatura un maggior raffreddamento comporta modificazioni maggiori e le modificazioni inutili devono essere evitate.

Da un punto di vista pratico l'elio liquido e' relativamente costoso e difficile da maneggiare. Si potrebbe quindi concludere che attualmente la temperatura ottimale e' quella dell'azoto liquido. Quando si costruiranno installazioni permanenti sara' usato probabilmente l'elio liquido. Come misura di emergenza, o quando e' necessaria una stretta economia, si potrebbe usare il ghiaccio secco che e' poco costoso e maneggiovole.

Il rischio delle radiazioni

Un corpo conservato al freddo, anche se preservato contro il deterioramento, non potra' forse subire una graduale "cottura" dovuta all'attacco lento, ma inesorabile, delle radiazioni naturali?

Sappiamo che queste si trovano dappertutto: i raggi cosmici ci bombardano dal cielo.  L'uranio, il torio, il radio nelle roccie e nella terra, nel calcestruzzo e nei mattoni, emanano radiazioni penetranti simili ai raggi X. Alcuni atomi radioattivi (radioisotopi) penetrano poco a poco nei nostri stessi corpi agendo come veleni ad azione lenta. (Oltre a queste radiazioni naturali, vi sono quelle causate dagli esperimenti nucleari, che pero' sono finora in misura piu' o meno trascurabile.)

Poiche' queste radiazioni sono di bassa intensita', producono solo una "dose cronica" a mala pena rilevabile, dal momento che un corpo funzionante puo' riparare la maggior parte dei danni mentre si producono. Ma tutte le dosi assorbite da un corpo ibernato devono essere ritenute acute; dobbiamo considerare la possibilita' che il danno globale per un corpo surgelato, possa diventare sempre piu' grave con il passare dei secoli.

All'esame dei dati, troviamo che puo' esistere un problema, ma che non e' di importanza estrema. (Le informazioni sull'argomento possono essere trovate per esempio in The Effects of Nuclear Weapons, U.S. Atomic Energy Commission, 1962.)

La piu' comune unita' di misura del dosaggio di radiazioni e' il "rem" (roengten equivalent mammal or man, ossia, l'equivalente roengten per i mammiferi o per l'uomo); non ci serve dare troppe definizioni tecniche, ma ci basta notare che una dose acuta di radiazioni pari a 100 rem, con tutta probabilita' non produce alcun disturbo apprezzabile, mentre una dose di 600 rem provoca una grave malattia da raggi che richiede il ricovero in ospedale e cure specialistiche appropriate; infine, una dose uguale o maggiore a 100 rem e' quasi certamente letale, per le risorse attuali della medicina.

Le radiazione che provengono dall'ambiente esterno variano considervolmente da luogo a luogo, ma come media approssimativa possiamo calcolare che ciascuno di noi riceva una dose di circa 10 rem ogni 50 anni. Un corpo ibernato impiegherebbe quindi 500 anni per accumulare una dose "clinica" di 100 rem, cioe' capace di dare disturbi, e 3000 anni per assorbire una dose dannosa di 600 rem. Questi tempi, senza dubbio, potrebbero essere ridotti se una guerra nucleare o esperimenti nucleari troppo numerosi dessero luogo a un notevole aumento della radioattivita', ma potrebbero anche prolungarsi notevolmente grazie ad alcune precauzioni che richiederebbero una modica spesa.

Se i corpi venissero conservati sotto terra in sotterranei costruiti con materiali a bassa radioattivita', sarebbero protetti dalla maggior parte delle radiazioni esterne e dovremmo preoccuparci soltanto degli elementi radioattivi interni, rappresentati principalmente da uno degli isotopi del potassio (l'isotopo radioattivo potassio -40) che si trova specialmente nei tessuti molli del corpo. La  quantita' di radiazione dovuta al potassio -40 e' di circa 20 millirem (0,020 rem) all'anno; essa continuera' all'infinito poiche' il "periodo di semitrasformazione" del potassio -40, cioe' il tempo richiesto perche' la quantita' di radiazione si riduca alla meta' a mano a mano che l'elemento radioattivo si deteriora, e' di piu' di un miliardo di anni. Ma per accumulare una dose di 100 rem occorrerebbero cinquemila anni e per 600 rem l'attesa sarebbe di 30.000 anni.

Anche allora il danno da radiazione sarebbe senza alcun dubbio sostanzialmente minore delle lesioni praticate nei primi corpi surgelati dai metodi primitivi di surgelamento, tanto che si presume che debbano passare almeno 100.000 anni prima che il danno da radiazione diventi preoccupante. Potrei pensare ad alcuni metodi grandiosi capaci di allungare questo periodo di tempo fino a milioni di anni o piu', ma non ne vale la pena. La maggior parte di noi sara' surgelata con metodi perfezionati che si svilupperanno tra dieci o venti anni e aspettera' in una cella frigorifera soltanto la soluzione del problema dell'invecchiamento. Di fronte agli enormi, rapidi passi del progresso scientifico dovremmo stupirci se cio' dovesse richiedere cinquemila anni. Con questa prospettiva, possiamo ignorare gli effetti del danno corporeo da radiazione.

In ogni modo, puo' valere la pena di aggiungere una postilla per assicurare coloro che si preoccupano degli effetti genetici delle radiazione. E' vero che una dose di 100-300 rem che colpisca tutti gli uomini in generazioni successive potrebbe produrre alla fine, se nulla fosse fatto per prevenirlo, tante mutazioni o tante anomalie ereditarie da minacciare la razza. Pero', noi speriamo di riuscire alla fine a controllare e a produrre i nostri geni, i programmi fisici dell'eredita' veicolati dalle nostre cellule. In ogni caso, gli ibernati che resusciteranno non costituiranno l'intera popolazione. Dal punto di vista dell'individuo non sussistono motivi di preoccupazione: un uomo esposto a 500 rem ha solo una minima possibilita' di osservare delle deformita' nei suoi figli o nei suoi nipoti (vedi per esempio l'articolo del professor Muller in Radiation Biology, edito da Alexander Hollaender, McGraw-Hill, 1954).

Capitolo 3. Riparazione dei danni e ringiovanimento



Estropico