Non vince nessuno se non vinciamo tutti.

Globalizzazione, progresso tecno-scientifico, post-umanità.

E' una di quelle notizie che inizialmente passano inosservate e che di certo non arriva sulle prime pagine dei giornali. Dato il feedback positivo che esiste fra progresso economico e progresso tecnologico, però, è una notizia che si ignora a proprio rischio, soprattutto se si ha un marcato interesse nel futuro e nelle tecnologie che esso porterà.

Il senato americano ha recentemente annunciato di voler sottoporre alla World Trade Organisation una proposta mirante alla creazione di una zona di libero scambio commerciale a livello mondiale. E' un progetto colossale ed estremamente ambizioso, forse troppo ambizioso, almeno nei tempi previsti. Le barriere al commercio sarebbero gradualmente eliminate, a livello globale, entro il 2015.

Secondo Don Evans, Commerce Secretary statunitense, "questa proposta vuol dire che non vince nessuno se non vinciamo tutti". I benefici per l'economia di un progetto del genere sono evidenti. Quella americana, per esempio, si espanderebbe di 95 miliardi di dollari, secondo uno studio dell'Università del Michigan, contribuendo a stipendi più alti e alla creazione di nuovi posti di lavoro. Ma quale sarebbe l'impatto sulla gente comune e sui paesi in via di sviluppo? In America, "aiuterebbe particolarmente le famiglie a basso reddito" attraverso prezzi più bassi. I paesi in via di sviluppo, secondo una stima della World Bank, riceverebbero il 65% della ricchezza creata dalla liberalizzazione degli scambi a livello globale. Sempre secondo la World Bank, questo vorrebbe dire che 300 milioni di persone (cioè più dell'intera popolazione americana) uscirebbero dalla loro attuale situazione di indigenza. (1)

Una notizia del genere, per quanto interessante e benvenuta, potrebbe apparire "off-topic" rispetto al resto dei contenuti di Estropico, ma tali sviluppi impartirebbero un'accelerazione proprio verso quelle tecnologie post-umanizzanti di cui si parla sul sito e verso quella che alcuni chiamano la singolarità tecnologica. E' da questa semplice considerazione che deriva il nostro interesse a monitorare non solo il progresso tecnologico, ma anche quello economico. Inoltre, un progresso economico e tecno-scientifico sostenibile sul lungo periodo, trova terreno fertile soprattutto in quelle nazioni che si organizzano secondo i criteri della Società Aperta, una colonna portante del pensiero estropico e non a caso: una società aperta, in cui creatività e spirito di iniziativa abbiano la possibilità di esprimersi, è destinata a produrre, fra le altre cose, quelle tecnologie che prevediamo per i prossimi decenni e che rivoluzioneranno la condizione umana.

Il tragitto verso i nuovi modelli di esistenza della post-umanità è però tutt'altro che sicuro. Come se non bastassero la crescente reazione bioconservatrice e la nostra dubbia capacità di gestire tecnologie di tale portata senza autodistruggerci (discussi altrove sul sito), esiste anche la possibilità di una una reazione anti-globalizzante che rallenterebbe sia l'economia globale che il progresso tecnologico. Non solo potremmo non arrivare mai ad un mondo senza barriere, ma potremmo anche perdere quanto è stato fino ad oggi conquistato. Non sarebbe la prima volta che la marea della globalizzazione è stata arginata: "Nel 1913, il commercio rappresentava circa il 12% del prodotto lordo dei paesi industrializzati. Tali livelli di esportazioni non furono ripetuti fino agli anni '70. Il volume di traffico del capitale internazionale […] agli inizi del ventesimo secolo non è mai più stato raggiunto. […] Gran parte della crescita dell'economia internazionale dopo la Seconda Guerra Mondiale, non ha fatto altro che ripetere i passi già compiuti nell'era precedente alla Prima Guerra Mondiale." (2)

Brink Lindsey del Cato Institute chiama questa onda lunga contraria ai liberi scambi, la "Controrivoluzione Industriale", una reazione alla Rivoluzione Industriale che pervase la fine del diciannovesimo secolo ed i primi tre quarti del ventesimo secolo. Tali idee superarono le tradizionali divisioni fra destra e sinistra e attecchirono ad entrambe le estremità dello spettro politico. I risultati furono profondamente diversi, ma ebbero in comune la sfiducia nel mercato e nella libera concorrenza e culminarono nell'adozione, con diverse gradazioni, di sistemi ad economia centralizzata: la Russia di Stalin e la Germania di Hitler sono gli esempi più tragici ed estremi, ma emersero anche esempi benigni, come le economie miste socialdemocratiche.

Questo monito dal passato non và sottovalutato, anche se è improbabile che quanto stiamo osservando oggi possa avere un impatto significativo su economia e progresso: dopotutto il movimento "no-global" è solo il sintomo di un vago malessere, più che di una severa malattia e gli istinti protezionistici dimostrati dai governi su entrambi i lati dell'Atlantico altro non sono che episodi di miopia economica dovuti ad esigenze elettorali. In assenza di eventi cataclismatici, quindi, sembra improbabile che le economie avanzate adottino una qualche versione estrema delle soluzioni basate sull'economia pianificata che hanno caratterizzato gran parte del ventesimo secolo. E' interessante notare, però, che anche oggi l'opposizione al libero scambia venga da uno schieramento politico trasversale che include elementi sia della destra che della sinistra. Virginia Postrel, nel suo "The Future and its Enemies" ("Il futuro e i suoi nemici") crea due neologismi per descrivere questi due nuovi fronti opposti: quello schierato contro il libero scambio (per qualsivoglia ragione) e a favore di misure protezioniste è formato da "stasisti", mentre quello a favore dell'eliminazione alle barriere commerciali è formato da "dinamisti" (si noti che i termini sono usati dalla Postrel per descrivere attitudini che non si limitano al libero scambio commerciale).

Le strane alleanze di convenienza apparse nello schieramento trasversale stasista (americano) citate dalla Postrel, includono quella fra l'arci-conservatore Pat Buchanan e il fondamentalista verde Ralph Nader, uniti nell'opposizione al libero commercio internazionale e quella fra certi attivisti anti-immigrazione di destra e frange ambientaliste di sinistra, uniti, per motivi diversi, nell'opporre l'immigrazione negli Stati Uniti. La volontà di controllo sembra essere la corrente sotterranea che unisce tale fronte. "Alcuni preferiscono un passato pre-industriale, altri sognano un futuro burocraticamente ingegnerizzato, ma tutti condividono la devozione alla stasi, a una società controllata e uniforme in cui i cambiamenti avvengono solo se autorizzati da una qualche autorità centrale." Sull'altro lato della barricata, i dinamisti sono invece a favore di "una società in cui creatività ed iniziativa, nell'ambito di un sistema di regole trasparenti, generano progresso in maniera non programmata." (3) I dinamisti sono uniti non da una piattaforma politica comune, ma dalla comprensione del fatto che il progresso scientifico ed economico emerge da processi evolutivi e non da pratiche dirigiste.

Qualunque sia il neologismo preferito, la visione dinamista, o estropica, è quella di un mondo il più possibile libero, senza barriere commerciali ed in rapido progresso. La forza di questa visione è nel fatto che il progresso (economico e tecnico-scientifico) è un gioco a cui tutti possono "vincere", qualunque sia il ruolo nella società. E' quella che in inglese si chiama una situazione "win-win". In altre parole, "non vince nessuno, se non vinciamo tutti."

(1)  U.S. Proposes Tariff-Free World, WTO Proposal Would Eliminate Tariffs on Industrial and Consumer Goods by 2015. Duty-Free Trade Would Help Consumers, Producers, Poor

(2)  The Decline and Fall of the First Global Economy - How nationalism, protectionism, and collectivism spawned a century of dictatorship and war. By Brink Lindsey

(3)  The Future and its Enemies, Virginia Postrel


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